Musica
Rapper napoletani famosi ed emergenti: il meglio dell’hip hop napoletano
C’è una città tra le nuvole, sembra fatta apposta per sfornare i nuovi talenti del rap italiano. Tutti sanno qual è: Napoli, la Città della Musica. Andiamo dove i basoli fanno tremare le macchine per conoscere il meglio dell’hip hop napoletano, dai rapper napoletani famosi ai cantanti rap emergenti che provano a immortalare la loro riconoscenza verso le seminali crew hip hop partenopee.
C’è un mondo lì fuori, tra i rioni italiani e le città globali, e Ticketmaster lo esplora alla ricerca delle nuove leve della musica nazionale e internazionale. Dopo aver sostenuto negli anni artisti del calibro di Slowthai, nominato ai Grammy, Pale Waves, vincitori del premio NME Under The Radar Award, Kojey Radical, tre volte candidato al MOBO, e Arlo Parks, vincitrice del Mercury Prize 2020 e aver scelto Paky per la nuova edizione New for 2022 del programma internazionale dedicato alla scoperta degli artisti emergenti, Ticketmaster ripercorre l’evoluzione dell’hip hop napoletano dai Co’Sang e Fuossera alla nuova generazione di rapper napoletani, Geolier, J Lord e Paky.
I Messaggeri del Vesuvio, l’evoluzione del rap napoletano
Napoli, la Primavera dell’hip hop italiano
I newyorkesi hanno il Bronx, Brooklyn e Queensbridge, i napoletani Piscinola, Marianella e Secondigliano; la violenza nelle strade, la malavita… tanti i punti in comune tra New York e Napoli ma, oltre il 41° Parallelo in comune, il gemellaggio geografico non ha avuto uno sbocco musicale. Non è l’hip hop, bensì la musica neomelodica a lastricare con il dialetto napoletano le strade del capoluogo campano.
Ma a Napoli non ci stanno sulo i neomelodici. L’inizio degli anni 80 è la Primavera dell’hip hop italiano con Stop Bajon (1984) di Tullio De Piscopo, il leggendario batterista del supergruppo di Pino Daniele. Proprio l’artista di Napule è compone in dialetto la parte rap di uno dei primi pezzi rap italiani reso memorabile dalla chitarra di Don Cherry e sbarcato nelle classifiche d’oltremanica.
Nei primi anni Novanta, mentre si fa sempre più agguerrita la rivalità hip hop tra la West e la East Coast con l’affermazione del gangsta rap, le barre nel dialetto sincopato e melodico raccontano spaccati di realtà in prima persona, denunciando le condizioni dei quartieri popolari e dell’area nord della città: a Napoli, come nel resto d’Italia, le prime crew hip hop fanno conscious rap.
L’eruzione delle prime crew hip hop napoletane
La scena urban partenopea frammentaria ed episodica relega il rap a un genere di nicchia. Le posse gravitano attorno ai centri sociali, come le Officine 99 da cui emergono gli Almamegretta di Raiz e i 99 Posse (‘0 Zulù, Marco Messina, JRM e Sacha Ricci), all’incrocio tra rap e raggamuffin e noti per la colonna sonora del film Sud di Gabriele Salvatores, Curre Curre Guagliò (1993).
Miscelando il magma degli A.M.N.K. (Autorizzazione Ministeriale Non Concessa) e degli K.T.M. (Ki Ta Muort), Polo solidifica La Famiglia insieme all’MC ShaOne e a Dj Simi. Scavando tra i tesori di Napoli e dintorni, il capofamiglia coinvolge nei freestyle Speaker Cenzou – all’esordio con Rigurgito Antifascista insieme ai 99 Posse – e Sha-One, tra gli altri, e aggrega i giovani attorno ai valori dell’hip hop, in maniera analoga alla Zulu Nation.
L’opera di divulgazione dell’hip hop partenopeo da parte di Polo continua a New York con le raccolte Napolizm (2005) e Napolizm Volume 2 (2006) e l’omonimo documentario con la partecipazione dei 13 Bastardi, Cenzou, Fuossera, Co’Sang e Clementino. Ispirati alla scuola rap newyorkese, i virtuosi 13 Bastardi confluiscono in spin-off e progetti solisti, mentre Il bambino cattivo rispolvera le vecchie jam session dei primi anni Novanta nei Sangue Mostro.
La Poesia Cruda dei Fuossera e dei Co’Sang
Non c’è limite che divide Marianella e Piscinola: con tutta l’anima che mettono nei loro dischi, non c’è muro che possa chiudere la Poesia Cruda dei Fuossera (Gianni de Lisa detto O’ Iank, Pasquale Sir Fernandez e Pepp J One) e dei Co’Sang (Luca Imprudente e Antonio Riccardi). Entrambi i gruppi rap napoletani non rappresentano la strada ma Spirito e Materia di chi vi vive dentro i rioni.
Sanghe come le viscere del quartiere in cui sono cresciuti, come il sangue che scorre tragicamente a fiumi lungo le sue strade. Grazie a quella voce che correva sui “questi ragazzi di Marianella”, che è valsa loro l’ingresso nel Clan Vesuvio, con Chi more pe’ mme (2005) e Vita bona (2009) Luchè e Ntò seminano nel cemento per poi raccogliere frutti: cementano nuove strade per la nuova e riconoscente generazione di rapper napoletani.
Guida al meglio dell’hip hop napoletano
I rapper napoletani famosi
Luchè
Famoso per lo Slang che ha reso famoso insieme ai Co’Sang, dal suo esordio L1 (2012) Luchè sceglie l’italiano, che gli permette di raccontare più cose. Il primo rapper napoletano a fare il Forum è un artista a 360°: ha una dedizione ossessiva alle produzioni, al sound, agli arrangiamenti e, con il nuovo album Dove Volano Le Aquile, canta per la prima volta, con una dedica al divino Maradona in D10S.
L’uomo dalle mille sorprese è anche imprenditore negli ambiti dello streetwear con il brand Black Friday, della gastronomia con le pizzerie Bravi Ragazzi a Londra e New York e della discografia con BFM Music. Luchè mette insieme Napoli firmando per la sua etichetta il meglio in Italia, dagli artisti partenopei CoCo, MV Killa, Geolier, Lele Blade, Vale Lambo e Yung Snapp ai rapper emergenti della scena urban napoletana.